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Clinical Governance: la rete che nasce dalla cooperazione tra Medici e Infermieri.

Nella sanità italiana da alcuni anni è entrata la parola Clinical Governance. Si definisce governo clinico (o clinical governance), secondo una sommaria traduzione de termine anglosassone, il sistema attraverso cui ogni organizzazione sanitaria risponde del miglioramento di qualità e servizi, garantendo standard assistenziali elevati, fornendo le migliori condizioni favorenti l’efficacia ed efficienza clinica. Il governo clinico si compone di diversi elementi che si intersecano tra loro. Esso riguarda prevalentemente Medici e Infermieri.


Secondo una delle prime definizioni (Van Zwanenberg, Harrison, 2000) il governo clinico è: un nuovo, complesso ed efficace strumento di lavoro per garantire che gli alti standard delle cure siano completamente mantenuti dal Servizio Sanitario Nazionale (NHS) e la qualità del servizio sia continuamente migliorata.


Componenti essenziali del governo clinico, Moro 2012.

L’idea di governo clinico nasce come una rete che si intreccia in ogni suo elemento e che esiste in virtù di tale cooperazione; il governo clinico è dunque una strategia complessa che rende responsabile ogni organizzazione sanitaria dinnanzi alle proprie scelte, andrebbero dunque perseguiti obiettivi di miglioramento, continuo sviluppo della qualità dei servizi e di raggiungimento di standard elevati. Qui andrebbe trattato con maggiore enfasi e spazio i LEA, livelli essenziali di assistenza che rappresentano: “le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket)” (Ministero della Salute).


Come è possibile aumentare la qualità delle cure e dei servizi sanitari sulla base dell’evidenza scientifica?

La Clinical Governance rappresenta un possibile strumento in tal senso e si attua partendo da un forte mandato strategico aziendale, avvalorato dallo staff dei Servizi Qualità delle ASL/ospedali. La peculiarità di questa disciplina di management è quella di essere in grado di coinvolgere i clinici partendo dai loro problemi quotidiani, legati alla gestione dei pazienti. Non è una formula manageriale astratta, estranea alla vita dei reparti/servizi, ma anzi parte dal presupposto che il primo obiettivo di medici, infermieri e degli altri professionisti sanitari sia quello di “occuparsi dei pazienti”, pertanto è comprensibile che gli ambiti organizzativi e gestionali vengano percepiti emotivamente come “lontani”. Dobbiamo pertanto trovare un punto di contatto tra la loro esperienza in prima linea e gli strumenti manageriali: la Clinical Governance può rappresentare questo “anello di congiunzione”. Per sviluppare ad esempio un percorso assistenziale si parte da una patologia o una condizione clinica che è rilevante in termini di frequenza e/o mortalità e che quindi i clinici sentono come un problema che li riguardi. Oppure per applicare lo strumento del clinical audit si parte dalla variabilità clinica dei loro comportamenti, laddove invece le evidenze scientifiche sono molto forti nel dire di fare (o non fare) qualcosa. Un minimo di variabilità tra i professionisti è necessaria per adeguarsi alle caratteristiche del singolo paziente, ma ciò non è mai giustificabile su un piano scientifico. Le richieste di esami e consulenze in Pronto Soccorso o la gestione del rischio tromboembolico dei pazienti in chirurgia, così come la decisione di effettuare o meno un intervento chirurgico su un determinato paziente rappresentano degli esempi concreti. Oltre a lavorare sull’appropriatezza tecnica, la Clinical Governance ci può aiutare anche a migliorare quella organizzativa (intensità di cura, setting meno complessi, terapie intensive aperte), che impatta non solo nella dimensione dell’efficienza ma anche e soprattutto in quella dell’efficacia. Se ci addentriamo nell’ambito della Gestione del rischio clinico gli esempi pratici collegati al quotidiano sono innumerevoli: si parte dall’analizzare un errore, un incidente realmente accaduto in quel reparto/servizio per operare ragionamenti sull’organizzazione dei processi in funzione della sicurezza e sulla gestione della comunicazione (quest’ultimo ambito si rivela sempre cruciale se si cerca di ridurre la probabilità di commettere errori).


Gli strumenti di Clinical Governance che collegamento possono garantire tra appropriatezza, recupero di risorse e riduzione di danni evitabili ai pazienti?

Vi sono solide evidenze che nei Paesi occidentali almeno il 20% degli esami (indagini radiologiche, terapie farmacologiche, interventi chirurgici, consulenze, ecc.) non andrebbero eseguiti. Ovvero se si applicassero in modo rigoroso le evidenze scientifiche si ridurrebbe almeno del 20% (complessivamente) quello che viene fatto in Sanità. In altre parole la medicina moderna tende a “fare troppo” e non solo per ragioni di medicina difensiva. Tuttavia gli stessi studi mettono in evidenza che al contrario molti interventi utili, capaci di generare salute, non vengono attuati per niente o solo in minima parte. Facendo un esempio nel campo dell’ostetricia possiamo affermare che facciamo troppi (inutili) parti cesarei, troppe (inutili) episiotomie e al contrario non siamo in grado di promuovere l’allattamento esclusivo al seno dei nuovi nati fino al sesto mese (intervento per il quale vi sono enormi evidenze di beneficio per il bambino e anche per la madre). Da un lato spendiamo diverse migliaia di euro per trattamenti antitumorali costosissimi, in casi in cui il beneficio per il paziente è nullo, poiché in stadio troppo avanzato, e dall’altro lato facciamo pochissimo per ridurre l’abitudine al fumo nella popolazione e nei giovani in particolare (il fumo di sigaretta è di gran lunga la prima causa evitabile di tumore nella nostra società). È necessario smettere di fare cose inutili (e quindi intrinsecamente dannose per il paziente perché ogni farmaco, indagine o intervento chirurgico porta con se degli effetti collaterali inevitabili) per reinvestire le risorse risparmiate per effettuare interventi di provata efficacia che ora non operiamo o troppo tardi a causa delle liste d’attesa. Questa appare come l’unica strada percorribile in uno scenario dove le risorse sono limitate ma i bisogni sanitari della popolazione aumentano esponenzialmente a causa dell’invecchiamento medio e delle nuove scoperte scientifiche che coprono ambiti sempre più ampi. Un altro esempio che riguarda l’appropriatezza organizzativa è quello degli interventi chirurgici in regime di Day Surgery. Alcuni Paesi del nord Europa sono arrivati a gestire in tale regime il 70% del totale degli interventi chirurgici in elezione (programmati, quindi escludendo urgenze ed emergenze) dimostrando un livello di sicurezza ed efficacia uguale o in alcuni casi anche superiore al regime di degenza (per quegli stessi interventi). In Italia siamo intorno al 20% e ciò significa che stiamo perdendo un’occasione per liberare risorse (tempo del personale, tecnologia, posti letto, spazi di sale operatorie) per poterle reinvestire nell’eseguire gli interventi più complessi, che ovviamente non possono essere gestiti in Day Surgery e le cui liste d’attesa sono in genere molto lunghe. Questi sono esempi di disinvestimento e riallocazione dove non sono previsti tagli lineari, ma al contrario è attuata una riconversione dell’utilizzo delle risorse seguendo esclusivamente il faro delle migliori evidenze scientifiche. In tal modo si genera maggiore efficacia e sicurezza e quest’ultima, oltre ad aspetti etici, ha enormi risvolti economici.


Quindi, qual è la difficoltà nel diffondere gli strumenti di Clinical Governance?

L’applicazione della Clinical Governance non è un processo particolarmente complesso perché le strade che devono essere percorse sono oramai molto chiare. Peraltro anche alla luce di alcune recenti normative (citiamo tra tutte il DM 70 del 2015) è oramai imprescindibile doversene occupare. Tuttavia la sua corretta applicazione, coinvolgendo e formando i professionisti clinici, integrando gli indicatori con il sistema di budget, coordinando tutti i servizi di staff che devono essere coinvolti, diventa un processo articolato che prevede un orizzonte temporale di almeno tre anni. Per non calare gli strumenti di Clinical Governance in modo verticistico è necessario entrare nella “vita reale dei professionisti” con grande capacità di ascolto, analizzarne i problemi, capire le ragioni degli eventuali disallineamenti alle evidenze scientifiche, le resistenze al cambiamento e molti altri elementi. Questo non sempre viene fatto. È necessario favorire un passaggio culturale dove i professionisti clinici capiscano che solo attraverso una misurazione sistematica dei loro comportamenti clinici, degli esiti assistenziali, degli eventi avversi dei pazienti è possibile fare delle distinzioni tra chi lavora bene e chi lavora meno bene e di conseguenza comprendere cosa tagliare (in modo chirurgico e non trasversale!) e in quali ambiti reinvestire. Solo attraverso la misurazione è possibile intervenire con modifiche organizzative evidence-based. L’alternativa è essere impotenti e non avere nulla di concreto da proporre quando vengono imposti tagli indiscriminati per far quadrare i bilanci degli ospedali e delle ASL.https://salvosorbello1992.wixsite.com/website

 
 
 

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