Nel mondo frenetico dell'assistenza sanitaria, il benessere dei nostri professionisti è fondamentale per garantire la migliore cura ai pazienti. Purtroppo, il mobbing, o bullismo sul luogo di lavoro, è un problema che colpisce in modo significativo il personale sanitario.
Da oggi nasce una nuova rubrica con l'obiettivo di affrontare apertamente questa sfida critica, offrendo risorse, informazioni e supporto a coloro che potrebbero essere coinvolti.
In "Affrontare il Mobbing Sanitario," esploreremo ogni aspetto di questo problema, dal riconoscimento dei segnali precoci all'adozione di misure preventive e alle procedure di denuncia. Inoltre, condivideremo storie di successo e consigli pratici per aiutare i professionisti sanitari a superare le sfide legate al mobbing.
Il nostro obiettivo è promuovere una cultura di rispetto, empatia e solidarietà all'interno delle nostre strutture sanitarie, affinché ciascun membro del team possa lavorare in un ambiente sicuro e accogliente.
Vogliamo anche fornire alle vittime del mobbing le risorse di cui hanno bisogno per superare questa esperienza.
Siamo certi che "Affrontare il Mobbing Sanitario" contribuirà a sensibilizzare su questa questione cruciale e ad aprire la strada a un cambiamento positivo nell'ambiente sanitario.
Vi invitiamo a seguirci con attenzione, a partecipare alla discussione e a condividere le vostre storie e suggerimenti.
Potrete trovare gli articoli nella Sezione Professione e Lavoro- Leggi e Sentenze, ogni lunedì, mercoledì e venerdì a partire da oggi 11 dicembre.
Mobbing e Straining cosa sono
L’anglicismo mobbing deriva dal verbo to mob, che significa: aggressione di comune accorso verso qualcuno.
Il primo ad usare il termine mobbing, per indicare l’aggressione di un gruppo di animali verso un altro membro dello stesso gruppo allo scopo onrad Lorenz; successivamente lo svedese Peter Paul Heienmann, descrisse lo stesso comportamento in un gruppo di bambini; negli anni settanta il fenomeno ridefinito bullyng-bullismo, designava tutti quei comportamenti vessatori e spiccatamente intimidatori in amnbito di psicologia di gruppo.
Allo psicologo Heinz Leyman, spetta la paternità del termine mobbing applicato alla medicina del lavoro. Lo psicologo si accorse che in una popolazione attiva di 4,4 milioni persone, il 3,5% dei lavoratori, soffriva o aveva sofferto di persecuzione dal parte dei colleghi o dei datori di lavoro per un periodo di 15 mesi.
Mobbing, è una scia di reiterati atti vessatorie persecutori nei confronti del lavoratore, all’interno dell’ambiente di lavoro in cui opera, capaci di provocare un danno incidente sulla sfera emotiva, psico-somatica, relazionale del dipendente.
Tali condotte che devono essere ripetute nel tempo e sistematiche, sono di due tipi:
mobbing verticale dall’alto o bossing: messo in atto da superiori in ordine gerarchico;
mobbing verticale dal basso, messo in atto da chi si trova in una posizione gerarchica inferiore e vuole esautorare un suo superiore
mobbing trasversale, messo in atto dai colleghi con la stessa mansione (tipico della professione medica ed infermieristica)
mobbing pianificato o strategico, corrispondente ad una precisa strategia di esclusione di n dipendente da una parte dell’azienda o dal management aziendale per ridimensionare il ruolo di un particolare lavoratore o allontanarlo definitivamente.
doppio mobbing, quando al mobbing subito sul posto di lavoro si unisce quello perpetrato in famiglia.
Elementi costitutivi del mobbing sono:
a) una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti ove considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico o dei colleghi e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;
d) l'elemento soggettivo identificato nell'intento persecutorio delle condotte.
Straining: riconosciuto per la prima volta dal Tribunale del Lavoro di Bergamo nel 2005 e confermato in Cassazione nel 2013, consiste in un’azione unica ed isolata con effetti duraturi nel tempo, tali da provocare effetti negativi nell’ambiente di lavoro.
La mancanza di una norma specifica che ne riconosca il reato e ne descriva le sanzioni, ha fatto sì che passassero ingiudicate condotte riprovevoli, e che la persona colpita non fosse tutelata.
Sindrome da mobbing
Occorre premettere che non c’è una personalità più predisposta di un’altra a subire le conseguenze sulla propria salute del mobbing, piuttosto ci sono persone che reagiscono diversamente sull’immediato ma che a lungo andare manifesteranno i danni provocati dal mobbing.
La sindrome da mobbing presenta le seguenti caratteristiche:
manifestazione psicosomatiche, di cui la prima è l’insonnia associata a tutta una serie di altre manifestazioni a carico del sistema nervoso e dell’apparato cardiovascolare. Dolori addominali, vomito, diarrea e una minore resistenza a contrarre le malattie infettive e autoimmunitarie a causa dello stress che iperstimola la ghiandola corticosurrenale che deprime il sistema immunitario.
Manifestazione emozionali, quali ansia, rabbia, tensione, attichi di panico, crisi di pianto deflessione del tono dell’umore fino alla depersonalizzazione.
Manifestazione comportamentali, quali anoressia e bulimia, dipendenza da alcol, farmaci fino alla manifestazione di azioni aggressive verso gli altri e se stesso.
Questo porta all’aumento del rischio di infortuni e malattia, con un aumento del numero di assenze dal lavo
Come abbiamo visto Il bullismo/mobbing sul posto di lavoro è un estremo fattore di stress correlato al lavoro, ma anche un grave rischio per la salute fisica, mentale e psicologica degli operatori sanitari, inclusi gli infermieri.
La vittimizzazione da mobbing e i sintomi del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) sono stati entrambi identificati come rischi professionali per gli operatori sanitari, inclusi gli infermieri (Lanschinger e Nosko, 2015). La vittimizzazione del bullismo si riferisce a qualsiasi tipo di comportamento non etico (fisico, verbale e interpersonale), che è espresso sistematicamente con l'obiettivo di umiliare e privare il potere della "vittima bersaglio" (Becher e Visovsky, 2012).
Di conseguenza, il bullismo sul posto di lavoro riguarda le azioni di umiliazione, isolamento o rimozione di un dipendente da un posto di lavoro, da un progetto o da una situazione lavorativa (Carter et al., 2013). Il bullismo può essere espresso da un individuo o da un gruppo di persone nei confronti del dipendente target (Carter et al., 2013), mentre esiste uno squilibrio di potere tra la vittima e il/i perpetratore/i (Leymann, 1996). Mobbing è un termine usato in modo intercambiabile con il bullismo (Branch et al., 2013). Tuttavia, secondo alcuni studiosi, il “bullismo” riguarda la vittimizzazione del dipendente bersaglio da parte di un autore, mentre il “mobbing” viene utilizzato quando c'è un gruppo di perpetratori (Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, 2010; Professional Issues Panel on Incivilty , 2015).
I sintomi del disturbo da stress post-traumatico si verificano dopo l'esposizione a un evento traumatico grave (American Psychiatric Association, 2013). Questi sintomi costituiscono una sindrome, che comprende eccitazione e agitazione intense, rivivere l'evento traumatico ed evitamento degli stimoli legati all'evento traumatico. Anche i persistenti disturbi cognitivi e dell'umore, così come le disfunzioni persistenti nella propria vita personale e sociale, sono importanti in questa sindrome (American Psychiatric Association, 2013).
Sebbene il disturbo da stress post-traumatico e la risposta alla vittimizzazione del bullismo condividano manifestazioni simili, ad es. emozioni angoscianti, compromissione funzionale e eccitazione fisiologica (Tatar e Yüksel, 2019), ci sono dati limitati sull'associazione tra questi fenomeni negli infermieri impiegati in ambienti di lavoro altamente stressanti, come i dipartimenti di emergenza (ED) o le unità di terapia intensiva (ICU) ( Mealer et al., 2012). Precedenti studi hanno identificato il legame tra i sintomi del disturbo da stress post-traumatico e l'esposizione al bullismo sul posto di lavoro, tuttavia in diverse popolazioni, ad esempio i medici (Tatar e Yüksel, 2019).
Le differenze tra infermieri e medici per quanto riguarda la prevalenza di bullismo/mobbing, così come le variazioni della frequenza di bullismo/mobbing nella popolazione infermieristica tra gli studi, giustificano ulteriori ricerche. Tuttavia, secondo la letteratura internazionale, il bullismo/mobbing sul posto di lavoro è frequente tra gli operatori sanitari (Zapf e Einarsen, 2011; Norton et al., 2017). Nello specifico, l'incidenza di bullismo/mobbing varia tra il 14,2 e il 53,1% nei medici (Chatziioannidis et al., 2018; Cheung et al., 2018), mentre questa frequenza è stata riportata tra il 2,4 e l'81% negli infermieri (Bambi et al., 2018 ).
Sebbene il bullismo/mobbing negli infermieri sembri essere presente in tutti gli ambienti di lavoro, ci sono ambienti di lavoro in cui i dipendenti sono più spesso esposti ad esso (Bambi et al., 2019). I dati precedenti riportano una frequenza di bullismo/mobbing dal 25,2 al 59,3% nelle sale operatorie (Park et al., 2014; Halim and Riding, 2018), dal 29 al 53,5% nelle strutture di terapia intensiva (Yun et al., 2014; Ganz et al. ., 2015; Chatziioannidis et al., 2018), così come fino al 90% negli ED (Al-Ghabeesh e Qattom, 2019).
I dati attuali hanno rivelato che circa quattro partecipanti su cinque (78,8%) hanno riportato un'esperienza di bullismo/mobbing sul posto di lavoro come vittima, testimone o entrambi, mentre circa due su tre (68,1%) hanno riferito di vittimizzazione/mobbing.
Inoltre, uno su tre di coloro che hanno riportato esperienze di bullismo/mobbing (35,9%) ha riportato un'intensità da moderata ad alta di sintomi traumatici rilevanti. Precedenti studi sugli infermieri riportano un aumento dei tassi di bullismo/mobbing sul posto di lavoro, anche fino all'81% (Spector et al., 2014; Difazio et al., 2019), una percentuale simile a quella qui riportata.
Diversi studi segnalano il contesto infermieristico come quello nel quale la violenza orizzontale trova un’elevata diffusione con riflessi sulla riduzione della qualità dell’assistenza erogata, sulla soddisfazione dell’utenza fino alla compromissione dell’immagine aziendale.
La manifestazione più comune della violenza laterale sono le molestie psicologiche, ovvero gli atteggiamenti ostili, in opposizione alle vere e proprie aggressioni fisiche. Queste molestie includono: abusi verbali, minacce, umiliazioni, intimidazioni, criticismo, insinuazioni, esclusione sociale e professionale, scoraggiamento, disinteresse, accesso negato alle informazioni.
In alcuni studi gli infermieri sono descritti come i “peggiori nemici di se stessi”, inclini a litigi, a prevaricare e incapaci di fornire supporto e incoraggiamento. Indubbiamente, l’essere sottoposto a due linee gerarchiche distinte (quella infermieristica e quella medica) in continua tensione tra loro può rappresentare un fattore ambientale scatenante.
Il dato più preoccupante è la correlazione che esiste tra il bullying e la qualità delle cure, errori ed eventi avversi. Diversi studi riportano che le vittime di bullying eseguono i propri doveri senza i minimi requisiti di sicurezza, ad esempio: somministrano farmaci senza una prescrizione precisa, lasciano il paziente a rischio caduta senza un supporto, usano apparecchiature (a volte anche molto costose) senza chiedere supervisione. Interessante è l’analisi degli incident reporting che evidenziano atteggiamenti incivili e di violenza laterale tra i professionisti sanitari, dove vengono identificati due principali catalizzatori degli eventi: l’atteggiamento verso il lavoro e la pianificazione del lavoro.
Ciò che è emerge in maniera preponderante è la mancanza di programmi o strutture volte alla prevenzione e al sostengo sia della vittima che del carnefice.
Nel racconto delle esperienze viene descritto che questi eventi sono vissuti tra pari, quindi tra colleghi che lavorano nello stesso ambiente, può essere agito da singoli e/o da gruppi, quasi come fosse un rito di passaggio per l’infermiere novizio che entra a far parte di un gruppo di lavoro nuovo. Infatti, nella maggioranza dei racconti, i vissuti sono riconducibili all’inizio della vita professionale e le persone che attuano bullismo sono generalmente persone che lavorano nel contesto da più tempo. I risultati confermano che il fatto di vivere queste situazioni durante la propria carriera lavorativa possa portare il professionista a riproporre questi comportamenti con altre persone nel corso della vita professionale, quasi fosse un comportamento naturale che faccia parte dell’introduzione del neoassunto.
Le situazioni di bullismo descritte all’interno delle interviste sono molto eterogenee tra di loro, alcuni descrivono situazioni di isolamento al lavoro, altri di sentirsi giudicati e l’idea che vi sia del “chiacchericcio” rispetto al proprio operato. A volte anche le risposte date in modo sgarbato hanno portato a vissuti di sconforto; i comportamenti associati al bullismo sono anche il pettegolezzo, il non aiuto al collega e la presenza di critiche e commenti sarcastici come anche l’omissione.
Rispetto alle ripercussioni sulle persone che vivono esperienze di bullismo sono state descritte dai partecipanti a più livelli: psicologiche, fisiche, lavorative e sociali. I professionisti riferivano l’insorgenza di dolori, difficoltà a dormire e ansia lavorativa, disturbi gastro intestinali, difficoltà a respirare, abuso di alcol, droghe e tabacco. A livello sociale è stato descritto un isolamento e una difficoltà nel vivere l’ambiente lavorativo sentendosi spesso soli e giudicati dai colleghi.
Info molto utili!