Infermieri: si al diritto alla pausa, anche se manca la richiesta di fruizione del servizio mensa fuori dell’orario di lavoro
- infermierecatania
- 9 apr 2024
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Il diritto alla mensa ex art. 29, comma 2, c.c.n.l. integrativo sanità del 20 settembre 2001 è collegato al diritto alla pausa; di qui il rilievo del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), art. 8, a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto.

Contratto Sanità: Pausa e servizio mensa per il personale
Pausa giornaliera
L'art. 27 comma 4 del CCNL 2016/2018, così come il CCNL precedente, riconosce al personale con orario di lavoro superiore alle sei ore, il diritto a beneficiare di una pausa di almeno 30 minuti per il recupero delle energie psico-fisiche, e questa pausa può essere utilizzata anche per l'eventuale consumazione del pasto.
Inoltre, la durata della pausa e la sua collocazione temporale dipendono dalla tipologia di orario di lavoro, dalla presenza di eventuali servizi di ristoro e dalla collocazione delle sedi dell'Azienda nella città oltre che dalle dimensioni della città stessa.
Nello specifico, in base all’art. 8, co.2, D.LGS. n. 66/2003:
a) il lavoratore ha diritto ad una pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore. Il momento di fruizione della pausa può coincidere con qualsiasi momento della giornata lavorativa. Sicché la pausa non va goduta necessariamente e successivamente al trascorrere delle 6 ore di lavoro. Tuttavia, la pausa minima stabilita per legge e corrispondente a 10 minuti deve essere fruita consecutivamente affinché possa essere raggiunta la finalità per la quale è prevista;
b) se manca il contratto collettivo, la pausa va concessa: 1) anche sul posto di lavoro; 2) tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro; 3) deve essere di durata non inferiore a 10 minuti; 4) con decisione datoriale, tenendo conto “delle esigenze tecniche del processo lavorativo”. Il datore di lavoro può individuare il momento in cui godere della pausa, tenuto conto delle esigenze tecniche dell’attività lavorativa, “in qualsiasi momento della giornata lavorativa e non necessariamente successivamente al trascorrere delle 6 ore di lavoro. Quindi, nell’ipotesi in cui l’organizzazione del lavoro preveda la giornata c.d. spezzata, la pausa potrà coincidere con il momento di sospensione dell’attività lavorativa” (Circ. n. 8/2005, cit.).
c) in presenza di contratti collettivi, questi regolano la durata e le modalità e possono prevedere una pausa a qualunque titolo;
d) salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi, “rimangono non retribuiti o computati come lavoro ai fini del superamento dei limiti di durata i periodi di cui all’articolo 5 regio decreto 10 settembre 1923, n. 1955, e successivi atti applicativi, e dell’articolo 4 del regio decreto 10 settembre 1923, n. 1956, e successive integrazioni” (art. 8, co. 3, D.LGS. cit.).

Come si vede, dunque, con l’art. 8, D.LGS. n. 66/2003, il legislatore ha disposto una disciplina generale delle pause lavoro con una soglia minima di tutela valevole per tutti i lavoratori, lasciando alla contrattazione collettiva la regolamentazione primaria e puntuale dei profili temporali, modali e retributivi delle pause di lavoro.
I contratti collettivi (siglati a livello nazionale con i sindacati comparativamente più rappresentativi) possono anche derogare alle previsioni di legge in tema di pause e, per il settore privato, le deroghe sono ammesse anche da parte dei contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 17, co. 1, D.LGS. n. 66/2003, come sostituito dall’art. 41, co. 7, D.L. 112/2008 conv. in L. 133/2008). Le deroghe, tuttavia, sono consentite solo “a condizione che ai prestatori di lavoro siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo o, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo sia possibile per motivi oggettivi, a condizione che ai lavoratori interessati sia accordata una protezione appropriata” (art. 17, co. 4, D.LGS.cit.).
Il Ministero del Lavoro ha chiarito che:
A) “la eventuale “concentrazione” della pausa all’inizio o alla fine della giornata lavorativa, che determina in sostanza una sorta di riduzione dell’orario di lavoro, può essere ritenuta lecita come disciplina derogatoria, ex 17 comma 1 e per il legittimo esercizio della quale è necessario accordare ai lavoratori degli equivalenti periodi di riposo compensativo o, comunque, assicurare una appropriata protezione” (Circ. n. 8/2005);
B) il diritto alla pausa non è monetizzabile poiché la pausa, in quanto finalizzata a costituire un intervallo tra due momenti di esecuzione della prestazione, “non può essere sostituito da compensazioni economiche. Ai sensi dell’art. 5, R.D. n. 1955/1923 vanno invece retribuite (e dunque escluse dalla non-retribuibilità) sia le soste inferiori a 10 minuti, che possono essere correlate ad esigenze fisiologiche del lavoratore o semplicemente all’alleggerimento del carico di lavoro, sia le soste legate alla tutela psico-fisica dei lavoratori (v. la pausa obbligatoria di 15 minuti ogni 2 ore per i videoterminalisti). Anche la giurisprudenza comunitaria e nazionale ha sempre confermato la retribuibilità delle soste di brevissima durata, specialmente quando strettamente funzionali alla ripresa dell’attività lavorativa.
Le sanzioni. La violazione dell’art. 8, D.LGS. n. 66/2003 comporta sanzioni sia di carattere civilistico, in virtù dell’art. 2087 c.c., secondo cui è obbligo dei datori di lavoro garantire l’incolumità psico-fisica dei lavoratori, sia di carattere amministrativo, in virtù dell’art. 14, D.LGS. n. 124/2004 (come sostituito dall’art. 12 bis, co. 3, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con mod., dalla L. 11 settembre 2020, n. 120), secondo cui “il personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative”. La mancata ottemperanza a tale provvedimento di disposizione comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da 500 euro a 3.000 euro.
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